Tanti piccoli bastardi grassi e con
pannolini super-assorbenti
strillano tutt'intorno a me, come patetiche raffigurazioni
germaniche di Buddha.
La monotonia viene rilasciata sotto
forma di aria fredda dall'odore buffo,
sparata da ventilatori laterali.
Dalla scura tonalità delle occhiaie
dipinte sui volti dei passeggeri
si può dedurre da quante ore siamo in
viaggio.
Siamo prigionieri di un esercito di
zitelle sessualmente insoddisfatte,
che coi loro vestitini blu,
cortesemente ci ordinano di arrenderci
al loro volere.
Mal di testa, sonno e piedi troppo
grandi per le scarpe sono le leggi del regime.
Incapace di muovermi rimango legato
alla mia gabbia fatta a misura di culo,
mentre sono torturato dai discorsi
filosofici di esseri incapaci di fare silenzio a undici mila metri
sul livello del mare.
Si lo so, i viaggi iniziano tutti così,
è parte dell'avventura.
Ma dev'essere così brutto?
Forse è semplicemente un'altra stupida
metafora sulla condizione umana.
Aleph
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