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domenica 14 ottobre 2012

Al di là dei soliti sospetti.

Questo articolo è diverso da tutti gli altri. Per un momento buttiamo giù la maschera della poetica e della narrativa e ci dedichiamo a fare qualche riflessione. Lo faccio perché ho come la sensazione che quello che scrivo qui o altrove, finisca per essere equivocato. In realtà si tratta di una speranza, perché è facilmente dimostrabile che gli equivoci sono sempre più interessanti della grigia chiarezza.

Il problema è dimensionale, tutto qui. Non so quanta familiarità abbiate con la matematica (più di me, vi auguro), ma il discorso è molto semplice. Se pensiamo ad un segmento ed immaginiamo di muoverci su di esso, e di poterci muovere solo su di esso, potremmo andare solo avanti ed indietro. Possiamo spostarci solo su di una linea ed è per questo che chiamiamo il segmento "monodimensionale". Se a partire da questo segmento costruiamo un quadrato, allora possiamo muoverci su quel quadrato, viaggiando sul piano, "in lungo ed in largo" come spesso si dice. E proprio "lungo e largo" sono le due dimensioni che fanno del quadrato un luogo geometrico bidimensionale. E se questo quadrato lo trasliamo nello spazio, aggiungiamo una terza dimensione, dando luogo ad un parallelepipedo o ad un cubo. Tre dimensioni: lunghezza, larghezza e profondità, dentro le quali possiamo muoverci.

La matematica ci spiega che è possibile immaginare più di tre dimensioni spaziali, posto il fatto che è impossibile disegnarle o realizzarle, visto che la nostra realtà e la nostra percezione ne contemplano solo tre. E la famosa "teoria delle stringhe", corpo contundente con cui da anni i fisici massacrano di botte la nostra logica, ci spiega che di dimensioni spaziali possono esisterne fino a 26.

Per un testo scritto, secondo me, funziona allo stesso modo. Quello che leggete ora è monodimensionale, perché le parole hanno un solo significato e le frasi si leggono dall'inizio alla fine. Per capire questo testo non dovete far altro che scorrere con il mouse, andare su e giù attraversando un soggetto- complemento- predicato dopo l'altro. Ma un testo può avere più di una dimensione. Se ammettiamo che una singola parola possa contenere due significati, ecco che tracciamo già una seconda dimensione, e poi un'altra per ogni parola ambigua o equivoca che scriviamo. Il testo riesce quindi ad uscire dal foglio, nascondendo il suo significato dietro le pagine, lontano dal rigo ed aldilà dei paragrafi.

Così, quello che tento di scrivere spesso assume le forme più diverse, in un gioco perverso in cui il significato scappa a gambe levate dal significante e sfugge anche al controllo dell'autore. Le parole prendono più di un senso, ed il nome di una persona o di un oggetto può in realtà indicare un luogo, fisico o mentale, come il parlare di una città può sottendere il parlare di una ragazza. Ed a volte parte di un nome di persona può indicare un posto, e quel posto un'altra persona. Luoghi della memoria che diventano proiezioni di volontà, fisico e metafisico che si fondono al solo fine di non farci capire un cazzo a nessuno.

Ovviamente c'è un messaggio, ovviamente c'è un destinatario a cui spero che il messaggio arrivi. Non esiste arte senza la comunicazione, e non esiste comunicazione senza un messaggio. E non ha senso parlare di messaggio se non si contempla un destinatario. Quel messaggio c'è, è vivo e presente, ma si nasconde lì, tra le pieghe multidimensionali delle cazzate che scrivo.

Io sono Keyser Soze, scrivo maluccio e dico tante cazzate, ma finisco sempre per parlare aldilà dei soliti sospetti.

Grazie per l'attenzione e scusate la precisazione.


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