Caro mi è
il sonno
e più
l’esser di sasso mentre che il danno e la vergogna dura
non veder
non sentir m’è gran ventura
Però non mi
destar, eh
Parla
basso.
Ultimamente
i suoi sonni erano alquanto inquieti. Non riusciva a ricordare l’ultima volta
che si fosse destato veramente rinfrancato dopo una dormita, o forse non voleva
semplicemente farlo. Era accaduto decisamente troppo tempo fa e con conseguenze
a dir poco atroci.
Aveva anche
smesso di riconoscersi nella sua immagine riflessa nello specchio. Forse per
non venire a patti con la realtà così opprimente che lo attorniava, forse per
tentar di scacciare i suoi problemi ed i suoi crucci fingendo che non
gl’appartenessero, che quella lastra che sormontava il lavandino non si
limitasse a riflettere le immagini bensì, fosse una finestra da cui
s’affacciava per assistere all’esistenza di qualcun altro. Un balcone
sopraelevato da cui osservar le sofferenze di quest’uomo e magari compatirlo,
così da sentirsi un pochino meglio aggrappandosi alla convinzione che v’era
effettivamente qualcuno nel mondo messo peggio di lui. Tuttavia si trattava di
una vana illusione, un tetro artificio architettato dalla sua mente provata, e
nei più profondi recessi del suo cuore lo sapeva.
Voltò il
capo a sinistra, oltre la spalla. Tullio come al solito era lì e con un deciso
cenno lo rinfrancò. Volse nuovamente lo sguardo allo specchio e sorrise. La sua
malsana convinzione radicò ancor di più, come poteva credere ancora alla
autenticità di quell’immagine or che n’aveva avuto l’ennesima prova?
Semplicemente non poteva.
Gaia sedeva
in cucina immobile, come al solito. Lo sguardo perso nel vuoto, le labbra
semidischiuse. La salutò cordialmente senza ricevere risposta, scacciò gli
insetti che la infastidivano e la baciò sulla fronte. Nulla. La osservò per una
manciata d’attimi per poi volgersi a sinistra sospinto da una sorta di
richiamo. “Dobbiamo andare, lo sai.” Gli disse Tullio. Aveva ragione, quel
giorno doveva sbrigare delle faccende importanti. Lanciò un ultimo sguardo a
Gaia ed uscì.
Era una
giornata torrida ed afosa, i raggi del sole gli scottavano la pelle livida e
gli bruciavano le iridi. Il passo svelto e nervoso lo condusse in un vicolo
d'innanzi ad una porta metallica chiusa e senza insegne. "Siamo
arrivati?" Si chiese. Non ricevette risposta alcuna. Si girò verso Tullio
che, con l'immancabile fermezza che lo contraddistingueva, lo esortò a
proseguire con un gesto inequivocabile.
La stanza era piccola ed oscura. Una sola lampada
ronzante sovrastava il tavolo dando alle spire del fumo dei sigari una consistenza
voluttuosa ed eterea. Faceva caldo e mancava l'aria, tossiva spesso e
spasmodicamente, gli occhi gli bruciavano e dovevano essere tremendamente
arrossati. Deglutire era un supplizio, era come se avesse una ruota dentata al
posto del pomo d'adamo. Cercava di penetrare con lo sguardo la fitta coltre
grigiastra che aleggiava nella stanza, vedeva a malapena. I presenti erano
tutti vestiti bene, completo grigio e camicia bianca, catene, bracciali ed
orologi d'oro. Bevevano da bicchieri dal contenuto ambrato e ridevano
sguaiatamente con i sigari adesi alle labbra viscide e scure da mostro marino.
Gesticolavano freneticamente con le dita tozze e sudate, si grattavano con
enfasi i colli grassi ed emettevano versacci post digestione da far accapponare
la pelle. “ ..Sono confinati nell’abisso della routine.. ..Pensieri senza
spessore limitati all’immediata mensilità.. Il modello è ben radicato.. ..Nelle
loro vite dominate dal palinsesto non c’è spazio per la profondità..
..Nonostante ognuno di loro si illuda di essere speciale ed al di sopra del
pantano in cui sguazzano tutti, non si accorge di quanto sia un perfetto ingranaggio
della macchina societaria.. ..Ingoiano amarezza e prigionia consolandosi col
pensiero degli svaghi domenicali.. ..Credono di essere, nel loro piccolo,
ribelli che auspicano alla libertà ma non fanno che inveire contro marionette e
ripetere come automi gli slogan che gli abbiamo inculcato nel cervello tra un
intermezzo pubblicitario e l’altro.. ” Questi furono gli unici stralci di
conversazione che riuscì a carpire, era estraneo a quella tavolata, distaccato,
come se fosse chiuso in un’angusta cella di plexiglass. La cosa lo infastidiva
non poco, si sfregava le mani ossute e nodose con impazienza, in attesa che
quella sua gravosa lontananza dal momento attuale si riducesse, che riuscisse
in qualche modo ad allineare la sua essenza con quella dei sei uomini così da
poterli capire e riuscire ad interagirci. Insomma, s'auspicava che qualcosa in
quella particolare situazione cambiasse e lo spingesse come ultimo tassello di
un effetto domino incalzante a raggiungere la loro frequenza. Tuttavia sapeva
bene che se non avesse fatto nulla di sua iniziativa niente sarebbe mutato,
sarebbe rimasto lì seduto senza però prendere parte alla tavolata, come un alga
che abita il fondale marino, senza nessuna capacità d'opporsi alla corrente che
lo governa. Girò il capo a sinistra con una movenza talmente repentina da
fargli suonare le vertebre cervicali. " Se li lasci fare saranno loro a
decidere per te. Ne sei consapevole vero? " Disse Tullio con tono beffardo.
Era appoggiato allo stipite della porta, aveva le braccia conserte, le spalle
basse e tamburellava impaziente con le dita. Tullio aveva ragione, non poteva
assolutamente permetterglielo. Balzò in piedi facendo cadere la sedia e,
contemporaneamente battè le palme delle mani sul tavolo. I sei obesi
s'azzittirono spaesati. " Ascoltatemi ignobili lumaconi bavosi "
Strillò come un pazzo, gli occhi iniettati di sangue ed il respiro affannato
" Per quanto tempo avete tramato alle spalle dei poveri diavoli come me e
tutti gli altri qua fuori? Come osate arrogarvi il diritto e la podestà di
scegliere cos'è bene e cosa è male ed indicare alla gente un modello da
seguire, così che possiate profittarvene beatamente? L'umanità non è stupida e
presto o tardi si stuferanno del meschino videogioco in cui l'avete
catapultati, allora impugneremo torce e forche e verremo a sollevarvi dal
vostro dorato trono fatto di soprusi e prepotenze! Ingrassatevi più che potete
poichè i vostri giorni da privilegiati sono destinati ad una brusca fine, se
non aveste le orecchie colme del suono delle vostre mascelle sbiascicanti ve ne
sareste già accorti da tempo e tremereste in preda al terrore ed alla
disperazione. Io vi ho smascherato parassiti schifosi, e non sarò il solo! Altri come me giungeranno e saremo sempre di
più e di più ancora finchè non potrete più nascondervi o soffocarci! Allora si
che saremo noi a ridere!" Ansimava rumorosamente, il petto scarno e
segnato dalle costole si protendeva avanti ed indietro ritmicamente, lo sguardo
torvo saettava sui volti bisunti dei sei. Tullio alle sue spalle si sganasciava
tenendosi l'addome e battendo convulsamente la mano sullo stipite della porta.
Uno degli uomini del tavolo, più precisamente quello che aveva di fronte,
trasse dal taschino della giacca un fazzoletto viola ricamato e se lo passò
sulla fronte imperlata di sudore denso. Quando ebbe finito lo ripiegò con cura
e lo andò a riporre ove l'aveva preso con movenze lemmi e quasi ritualistiche,
lanciò varie occhiate d'intesa ai suoi colleghi poi si schiarì la voce con un
paio di colpi di tosse rauca. Il faccione tondo si contrasse, la bocca oblunga
si dischiuse con uno schiocco lasciando sol un fil di saliva ad obliterare
l'orifizio oramai spalancato. " Non credi di esagerare, scricciolo? Come
osi arringarci a quella maniera? Non sei forse tu stesso ad esserti spinto sin
qui? Dovrai pur aver avuto un motivo per prendere posto alla nostra tavolata.
Non stai forse dimenticando qualcosa? Crediamo che il tuo delirante sproloquio
sia figlio della frustrazione che t'attanaglia, ai nostri occhi sei trasparente
come una medusa, riusciamo a scorgere quel che serbi nascosto dentro di te, il
tuo più oscuro segreto è per noi la prima pagina del quotidiano nazionale. Noi
sappiamo! Sappiamo chi sei veramente, quanto sei realmente ignobile e meschino.
E' un orribile atrocità quel che hai compiuto, se è per quella che sei venuto
noi abbiamo la facoltà di aiutarti ma prima devi ammetterlo a te stesso, devi
venire a patti con la realtà ed accorgerti di cosa sei veramente diventato. Ti
devi rendere conto che il vero mostro sei tu! Rivela la verità, mostro! Rivela
la verità, mostro! "
Il panico si impadronì di lui, brividi ghiacciati
gli solcavano la schiena. La faccia spaurita, lo sguardo crepitava sui volti
dei grassoni che ripetevano all'unisono "Rivela la verità, mostro"
come fosse una litania da chiesa. I loro sguardi erano penetranti come saette,
lo mettevano a nudo facendo strazio della sua armatura d’apparenze
meticolosamente assemblata. Era terribile, loro sapevano e sembravano avere la facoltà di scrutargli sin nel l’animo
come uno scanner diabolico raggiungendo con semplicità disarmante i segreti e
le meschinità che aveva sepolto con tanta cura, non poteva più restare lì,
nonostante quel che aveva creduto in precedenza recarsi in quella stanza si era
rivelato un errore. In preda al terrore ed allo sgomento più totale si portò le
mani alle orecchie e serrò con forza le palpebre. "No! No! Mai! Ancora non
è il momento! No!!" Gridò piagnucolante scuotendo la testa all'impazzata.
Si volse di scatto e corse fuori da quella maledetta stanza spalancando la
porta scura. Fuori la luce era accecante. Dopo quel che a lui parve un ora di
disperata fuga cadde riverso sulla schiena ansimante, allo stremo delle forze.
All'interno della stanza gli era parso di scorgere Tullio ripetere quella
salmodiante nenia con un ghigno subdolo stampato sul volto. Ne fu colpito.
0 comentarios:
Posta un commento