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giovedì 17 gennaio 2013

L'Estensione Ventisette - estratto


Una musichetta country banale ma orecchiabile pervadeva l'aria. John Barleycorn correva alla disperata lungo una rotaia singola. Il fiato mozzo e le gambe che si facevano via via più pesanti, continuare a muoverle a quella velocità si stava trasformando in un impresa a dir poco titanica. Era fradicio, completamente sudato, i capelli appiccicati sulla fronte gli coprivano quasi tutta la parte superiore della visuale. Si voltava spesso e nervosamente, era palese: fuggiva. Fuggiva da qualcosa che prima o poi l'avrebbe raggiunto. Corse finché i muscoli delle gambe non gli bruciarono e le vene non pomparono acido da batteria lungo tutte le sue membra. Era sfinito e sfiancato e per di più doveva stare attento a mettere i piedi correttamente uno dinnanzi l'altro o sarebbe caduto giù. La rotaia cominciò dapprima a vibrare e poi a scaldarsi velocemente, sino a divenire talmente bollente da bruciargli la pianta dei piedi. Si volse indietro per l'ennesima volta, il suo inseguitore fece la sua comparsa. Si trattava di una locomotiva sferragliante e arrugginita che emmeteva una coltre di fumo nero e denso come la pece, procedeva a velocità straordinaria col muso corroso e col rostro frontale rotto e deformato dalle intemperie che stava per mordergli i polpacci. Panico. Che doveva fare? Farsi travolgere dal treno o tuffarsi in quell'abbisso marrone e dorato? Che poi a pensarci bene non è che sapesse perfettamente cosa l'aspettasse in quel bratro, si ricordava però le parole di una nonna non sua che in un giorno che non pioveva tanto gli disse di stare attento ai burroni di quel colore e di tuffarsi solo nel caso in cui avesse finito il granturco. Il granturco? Un attimo, fremi tutti, che cazzo stava succendo? Perchè era su una monorotaia a fuggire da un treno arrugginito?

« AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARRRRRGHHHHH! »

Ecco fatto, si era distratto, aveva poggiato male il piede ed era caduto giù nel bratro. Ancora una volta aveva deluso la nonna ed ora precipitava nell'oblio a velocità folle. Sentiva il vento soffiargli tra le membra separandolo dal sudore accumulato e restituendogli una forma perfetta, come se quella corsa pazza non l'avesse mai sostenuta.

Ci fu un grande tonfo, sbattè su una superfice lucida e liscia, forse un pochino incurvata. Sbattè con la schiena ma non sentì alcun dolore. Strano, già molto strano. Ci avrebbe pensato appena avesse avuto un pò di tempo visto che ora stava scivolando giù lungo la curvatura di quella superficie. Il bastone e il cappello a cilindro nelle mani gli impedivano di aggrapparsi a qualcosa o quantomeno di tentare di frenarsi. Un momento. Prima non aveva nelle mani quegli oggetti e.. E perchè vestiva uno smoking? Ok questo era completamente assurdo, come poteva essere successo tutto ciò? C'era forse una fatina invisibile che si divertiva ad abbigliare a festa la gente che precipitava? La domanda non trovò risposta poichè la superfice manrrone finì e JB si ritrovò a precipitare, veramente stavolta era una caduta libera bella e buona. Emise un altro urlo agghiacciante, stavolta cadeva nel blu, il suolo che si apprestava a raggiungere era blu, forse si trattava di acqua, di un mare di un oceao di un lago o robba del genere. Ne fu sollevato. Voltò il capo e guardò in alto per saggiasi da dove effettivamente stesse precipitando. Ora la vedeva chiaramente, era una chitarra! Stava correndo su una corda e quella che gli era parsa una locomotiva arrugginita non era che un dito con un unghia annerita. Ecco da dove veniva quella musichetta country! Dunque se quello era un musicista con la sua chitarra la superficie blu su cui si stava per sfracellare non poteva essere acqua. Si volse nuovamente, osservò meglio e s'accorse che stava per atterrare sui jeans del suonatore! Oh merda! Oh merda! E adesso?! Emise un altro urlo disperato. Stava per raggiungere quei pantaloni all'altezza del ginocchio, vedeva chiaramente la forma ossuta dell'articolazione ricalcata dal tessuto, stava per sbatterci la faccia, manca poco, dannatamente poco, si sarebbe rotto l'osso del collo sarebbe morto sul ginocchio di un hyppie del cazzo suonatore di chitarra. Doveva fare qualcosa doveva cercare di cavarsela in qualche modo o sarebbe diventato una poltiglia. Si mise il cilindro in testa. Seriamente? In quel momento tutto ciò che era riuscito a pensare di fare per salvarsi il culo era quello? Mettersi un cazzo di cappello da riccastro snob? Il tempo era scaduto stava per toccare con la punta del naso la propaggine ossea, era finita tutta la vita gli passava davanti agli occhi in un istante - un bel clchè da film - quando..

« Svegliati dormiglione »

Aprì gli occhi di scatto. Vide tutto appannato per qualche istante, quando mise finalmente a fuoco si ritrovò ad osservare le pietre grige e segnate dal tempo del soffitto. Non c'erano rotaie, ginocchi pantaloni blu e nient'altro di simile. Non indossava ne smoking ne cilindro, sorspirò gratificato: era un sogno. Meno male! Con tutte le accortezze del caso si stiracchiò, si stropicciò gli occhi, sbadigliò sonoramente e via dicendo. Tutti quegli atti automatici che si fanno da appena svegli. Si sentiva un poco rintronato a dire il vero, gli pareva di aver dormito per un secolo intero. Si tirò su e si mise a sedere con la lentezza di un bradipo, aveva sempre amato svegliarsi con calma. Grattandosi dietro al collo venne alle parole. la bocca era ancora impastata e la voce era un pò sbiascicante. Tutte queste evidenze messe assieme davano il medesimo risultato: la sera precedente aveva bevuto come un ossesso ed ora aveva il doposbornia.

« .. Non sai che sogno assurdo che ho fatto, per fortuna che mi hai... ... OH CAZZO! »

S'alzò di scatto e andò a poggiarsi alla parete più distante. Gli occhi sbarrati ed il colorito pallido di chi aveva appena visto un fantasma. Pochè di che si poteva trattare se non di un fantasma? Difronte a lui c'era Elise comodamente seduta a fissarlo con la solita espressione da stronza sorniona di sempre. Un flash gli attraversò la mente, la rivide piegata sul tavolo in una pozza di sangue con il cranio orribilmente infossato. Elise era morta la sera prima, e ora stava davanti a lui come se niente fosse. Improvvisamente ricordò tutto, quella serata al King, il tipo francese con le sgualdrine vestite di pelle, quell'energia incontenibile che aveva avvertito impazzargli dentro. Si, ora che ricordava tutto aveva un senso. Osservò l'amica vestita alla stessa maniera delle serve del francese, cazzo era diventata una di loro, si coprì la bocca con il palmo della mano.

« Quindi sei diventata una di loro? » 



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